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“Freak-Out” è il nuovo CD di Freak Antoni, pubblicato da CNI, prodotto da Fabrizi Federighi per la Deepside Music. Al pianoforte troviamo Alessandra Mostacci, la “Mostachova” come la chiamava Freak, che ha composto anche le musiche, ed arricchito dal libro scritto da Daniela Amenta con le interviste di Ida Guglielmotti.
Ci sono dischi che, nati dopo la morte dell’artista, sono avvolti dal sospetto della celebrazione postuma e pretestuosa. L’industria discografica ci ha offerto, negli anni, un elenco interminabile di artisti che, una volta trapassati, si sono ritrovati di colpo in testa alle stesse classifiche che, magari, li hanno ignorati a lungo o sempre. Morto il re, viva il re, insomma e anche in Italia ne sappiamo più di qualcosa, in questo senso. Anche noi siamo bravissimi ad ignorare e sbeffeggiare in vita e a glorificare in morte, come se ci si dovesse lavare la coscienza da un tardivo senso di colpa per non aver compreso in tempo il “genio” dell’artista.
Non è il caso di questo lavoro, che invece è nato da autentico affetto, verso un uomo e un personaggio che, anche se non ha colto il successo ecumenico, è stato interlocutore acuto di chi alla musica chiedeva qualcosa di più che non tre minuti di emozione spicciola.
Freak ha avuto molte vite artistiche, ma quella reale è stata, come per tutti, solo una e purtroppo anche breve. Ma in neanche sessant’anni di vita e quaranta di musica ha macinato, elaborato e restituito al suo pubblico i risultati di una curiosità onnivora e di un doloroso e ironico interesse per la vita e l’arte nelle sue espressioni più variegate.
Ironico anche il suo legame con un’esistenza tormentata e divertita, puntellata da comportamenti autodistruttivi e dalla ricerca cocciuta della verità, se mai ce ne fosse stata una.
E chi se lo scorda quel personaggio stralunato che era Beppe Starnazza, forse quello che più di tutte le maschere interpretate da Freak, ha avuto gli “onori” di passaggi televisivi, che, però, non hanno minimamente reso giustizia al Roberto Antoni colto e capace di essere anche molto altro che l’innocuo disturbatore di trasmissioni paludate. Ed è ingiusta e riduttiva anche l’ etichetta facile di provocatore , che si è meritata con gli Skiantos, perché, se uno dei compiti dell’arte è quello di stabilizzare, lui lo ha fatto ed è stato credibile, nonostante l’aspetto poco rassicurante di chi fa costantemente a pugni col mondo e qualche volta vince, qualche altra va a tappeto.
Anche se la sua vita artistica si compone di un prima (con gli Skiantos) e di un dopo (senza gli Skiantos), la sua capacità di creare piccoli capolavori di originalità e intelligenza si è mantenuta sempre alta, passando dalla esuberante goliardia delle prime composizioni alla raffinata ricerca sulla musica contemporanea e classica, quando incontra la pianista Alessandra Mostacci, che diventa compagna di vita e di musica. C’è da chiedersi cosa unisce questi due artisti così diversi, ma forse non tanto e come coesistano la formazione accademica, rigorosa di una musicista come Alessandra con un visionario sempre pronto a scartare di lato per lasciare la strada maestra, come sempre ha fatto Freak. Eppure nascono lavori interessanti, insieme s’inventano Ironikontemporaneo, ancora una volta progetto di difficile definizione, ma di facile comprensione, per chi ha orecchie per sentire. Concerto? Teatro? Poesia sostenuta dal pianoforte, potente, di Alessandra?
Con la Mostacci (la Mostachova, come la chiamava, attribuendole falsi natali esotici) scrive tante canzoni e alcune sono in questo disco. Il non sense, artificio che ha usato per raccontare la realtà a modo suo e che gli ha meritato la definizione pressappochista di demenziale, è presente, accanto a liriche apparentemente leggere, che sembrano seguire le regole del pop più sfacciato.
Eppure dietro ogni canzone sbrindellata di Freak c’è altro, dietro le rime baciate ce la senti l’amarezza di vivere e di essere artista in un paese che non riconosce il talento, che si nutre di apparenza e foraggia conformismo ed omologazione. Forse lui con l’insuccesso ci aveva fatto i conti, ma dev’essere stata dura accettare di appartenere ad una società mediocre che se ne frega della tua sete inesauribile di cultura e che, mentre tu vai a ficcare il naso nell’arte da qualunque parte e da qualunque epoca arrivi, ti preferisce canzonette sbiadite. Eppure Freak neanche a quello si è sottratto e il tentativo di avvicinare Sanremo e un pubblico più ampio l’ha fatto, con una canzone che sembrava perfetta per l’occasione (“Però quasi”). Ma
evidentemente la bellezza di una composizione non è il canone per accedere al tempio dell’italica prosodia. Freak non aveva, a quanto pare, notorietà a sufficienza per salire sull’ambito palcoscenico, come se esperienza, talento vero e una straordinaria capacità di attrarre e sedurre il pubblico fossero qualità non necessarie per fare un mestiere come il suo. Ma è andato avanti lo stesso, accompagnato dai musicisti della Freak Antoni Band e, soprattutto, dalla Mostachova, ne sono venute fuori le imperdibili performances di
Ironikontemporaneo, una ricerca maniacale su altre forme di musica e le canzoni che Freak ed Alessandra hanno scritto insieme. Molte sono in questo lavoro, accanto ad altre cose che raccontano altre storie ed altri periodi.
Con questo lavoro non abbiamo voluto ricostruire la storia di Freak, anche perché sarebbe impossibile rendere ragione di tutta la varietà di esperienze artistiche a cui ha dato vita. Ma a Freak, che Andrea Pazienza definiva “il più pazzo di tutti”, avremmo voluto ricordare che non sempre è vero che “non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”. Tutti noi che abbiamo sentito le sue canzoni negli anni e che, proprio adesso, ci stiamo rigirando questo cd tra le mani, qualche volta, stando dalla sua parte, un po’ più intelligenti ci siamo sentiti.